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giovedì 10 febbraio 2011

Arrivederci Roma

In una umida giornata d'autunno, Roma mi accolse con una pioggerella sottile, intermittente, che veniva giù da un cielo color acciaio. 
Quella mattina feci il mio primo giro per via Tiburtina armata di un ombrello e di tutto il mio sconforto. Mi servivano detersivi, cibo e svariate cose per la casa, ma sono certa che se solo avessi avuto qualcuno su cui contare, qualcuno che si prendesse cura di me, non sarei mai uscita dal mio guscio. Non quel giorno, quando mi sentivo così sola e abbandonata a me stessa.
Veduta notturna del Colosseo
Eppure anche in casa non mi sentivo a casa... e del resto come avrei potuto, era tutto nuovo, tutto sconosciuto e terrificante. Forse esagero, ma io non sono una persona adatta ai cambiamenti. Mi piace viaggiare, certo, conoscere nuovi posti e immergermi nelle culture dei luoghi che visito, purché tutto ciò duri solo un periodo; poi si torna a casa, dagli amici, dalle cose care, dai miei libri e dal mio pesciolino rosso. Ho scoperto tardi di avere un habitat naturale, proprio come gli animali. E non c'è niente da fare, sto bene solo lì. Forse per la prima volta in vita mia ho compreso il significato del termine "senso di appartenenza". Anzi no, la prima volta è stato il mio primo amore, ma non divaghiamo.
Torniamo a Roma. Comprai quello che dovevo comprare, dispensando sorrisi a negozianti e cassiere per elemosinare un po' di quell'affettuosa cordialità di cui avevo bisogno, e tornai a casa con due bustoni di roba da sistemare. Iniziarono gli impegni, le corse affannate su e giù per prendere la metro, le mattine china al computer alla ricerca di un briciolo di concentrazione e le serate passate a chiacchierare con le coinquiline.
Una cosa mi colpì subito di Roma, o meglio, della sua gente; non dico romani perché molti di quelli che incontravo erano quasi certamente di fuori, italiani o stranieri, pendolari o cittadini adottati poco importa. Li accomunava uno sguardo perso nel vuoto, vacuo e rassegnato. 
Qualcuno dirà che la mia è tutta fantasia, ma stavolta non lo credo. La gente delle grandi città (ovviamente non i turisti!), soprattutto la gente che si incontra in metro e sugli autobus al mattino o la sera, è triste e frustrata, nervosa e incattivita, e basta un nonnulla per farla scattare: contro l'immigrato di turno, contro il pedone distratto, contro il traffico e i conducenti degli autobus. 
Mi sembra di dire un gigantesca ovvietà affermando che si corre su e giù come i matti, si sgobba per ore, molto spesso senza nemmeno intravedere un senso in ciò che si fa, per poi perdere di vista ciò che conta davvero, e trovarsi con in mano un pugno di mosche.
Ecco, a me questa cosa mi ha terrorizzata fin dall'inizio. Non intendo generalizzare, ognuno è fatto a modo suo, io ovviamente parlo per me e per ciò che ho provato, direttamente e indirettamente. 
Un giorno ho capito che se fossi rimasta lì mi sarei persa per sempre. 
Non so usare termini più chiari per descrivere come mi sono sentita, dovrei raccontare nel dettaglio vicende e vissuti personali che non ho voglia di rendere pubblici. 
Io credo che il corpo possegga una sapienza profonda che a volte la coscienza non è in grado di interpretare, oppure, quando ci riesce, non vuole assecondare. Ecco, se solo ascoltassimo il corpo senza troppi pregiudizi, senza lasciarci accecare da aspettative, ambizioni, regole e doveri, credo che prenderemmo quasi sempre la direzione giusta. Ogni singola cellula mi indicava una direzione e io dopo un po' di resistenze l'ho seguita, perché non seguirla avrebbe significato andare contro me stessa, e quello l'ho fatto troppo a lungo per non aver imparato la lezione.
Basta così poco per essere felici, così dannatamente poco che alle volte vien da chiedersi perché certa gente sembra quasi mettersi d'impegno per essere infelice.
Roma mi ha fatto capire tante cose, mi ha fatto amare e apprezzare cose a cui prima non davo la minima importanza, mi ha fatto capire che a volte è necessario fare una scelta drastica... e io stavolta ho scelto di essere felice, perché so di meritarlo.
Scegliere di essere felici non è mai una sconfitta, perché qualsiasi sia la contropartita cui sei costretto a rinunciare, ne varrà sempre la pena.

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