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sabato 30 novembre 2013

In una notte di mezza estate

Seppe di aver toccato il fondale ancor prima che la sabbia si insinuasse tra le lische della coda. Annaspò alla ricerca d’acqua, mentre l’aria limpida e fredda le graffiava la gola. Era solo questione di tempo prima che il suo corpo si abituasse all’aria e le branchie si schiudessero per permettere ai polmoni di funzionare correttamente. Un processo doloroso, ma inevitabile. Guardò dietro di sé sua sorella Ananke che volteggiava ignara del pericolo.
Avrebbe voluto urlarle di allontanarsi più in fretta che poteva, di tornare al largo, dove l’oceano scavava profondità inaccessibili alle creature della terra, ma non ne ebbe il tempo. Un laccio di ferro le si conficcò nel derma coperto di lische, intaccando la struttura interna della coda. Urlò di dolore, piegandosi in due nella trappola trasparente e letale. Qualche metro più in là, Ananke si dibatteva disperatamente in un’altra rete. Un’acuta stilettata di colpa le trafisse il cuore. Avevano sbagliato ad avvicinarsi alla costa… lei, che era la maggiore, avrebbe dovuto tenere a freno l’imprudenza di Ananke. All’improvviso sentì le loro grida. Uomini, tanti uomini. 
Come tutte le creature del mare, Surya conosceva la loro lingua, sapeva che quei versi disarticolati indicavano soddisfazione, vittoria.
Si guardò intorno, terrorizzata. Solo allora si accorse che quel tratto di mare era interamente ricoperto di reti invisibili, messe lì apposta per loro…

Amerigo era solo nel salone delle feste. Aveva mandato via i servitori e gli uomini incaricati di tinteggiare le pareti per la cerimonia d’investitura del nuovo sovrano, che si sarebbe tenuta di lì a qualche giorno, al ritorno di Rolando. Le labbra dell’uomo si incresparono in una smorfia. Rolando, l’erede al trono che suo padre aveva indicato come successore sul letto di morte. Scavalcando ogni buonsenso e ogni tradizione, il vecchio aveva scelto il figlio minore, che a sedici anni si era arruolato nell’esercito per tornare in patria solo una volta l’anno.
Un soldato su trono di Cornovia, il più esteso e prospero di Occidente!
La smorfia di Amerigo si appianò nella maschera di gelo che indossava quando era infuriato. Le spie che aveva messo sulle tracce di suo fratello gli avevano riferito che sarebbe sbarcato in patria il ventidue giugno. I suoi uomini migliori l’avrebbero atteso lì, schierati in forze e armati fino i denti. Rolando non avrebbe mai immaginato quale calorosa accoglienza lo aspettava nella sua terra natale, dove credeva di mettere piede come futuro sovrano. Le labbra sottili dell’uomo si arcuarono in un sorriso che ricordava quello di un pescecane.
In quel momento entrò un servitore, un ragazzino alto e magro, piuttosto scialbo.
«Sire» esclamò, inchinandosi con deferenza. «Sta arrivando!»



Quando due soldati entrarono tenendola per le braccia, uno a destra l’altro a sinistra, Amerigo fece qualche passo in avanti per vederla meglio. Gli uomini avanzavano piano, facendo ticchettare ritmicamente gli stivali sul marmo lucido, mentre il sacco informe che trascinavano, una specie di bozzolo avvolto in un telo di iuta, assumeva via via le sembianze di una donna.
Una donna dal volto bellissimo. Aveva già visto l’altra sirena: era più piccola di questa, poco più che una bambina. Farla parlare era stato facile. Aveva detto di chiamarsi Ananka, e sempre da lei avevano appreso che l’altra, quella che ora lo fissava dritto negli occhi con uno sguardo di sfida, era sua sorella Surya. Nessuno osava incrociare apertamente lo sguardo di Amerigo, né i suoi consiglieri, né i soldati della guardia. Eppure lo sguardo ardito che gli lanciava quella ragazza, lungi dall’irritarlo, gli procurava un curioso rimescolio nello stomaco. Forse…
«Lasciatela» ordinò ai soldati. Quelli non se lo fecero ripetere due volte: mollarono la presa, e la sirena finì miseramente a terra. Se si aspettava di sentirla lamentarsi per il dolore, Amerigo fu deluso. Lei non emise un sibilo, limitandosi ad alzare il volto per tornare a guardarlo.
Nei suoi occhi neri, ora così vicini, si leggeva chiaramente tutta la rabbia, l’impotenza che doveva provare. Enormi e sproporzionatamente grandi su quel volto minuto, quegli occhi lo accusavano apertamente, silenziosi e immobili come laghi di petrolio. Sembrava un animaletto in gabbia. Inoffensivo, ridicolmente fiero. Amerigo ricambiò lo sguardo con un sorriso condiscendente.
Un nuovo piano stava prendendo forma nella sua mente.
«Spogliatela» ordinò, senza staccarle lo sguardo di dosso.
I soldati la strattonarono brutalmente per srotolare il telo ruvido che la ricopriva.
Amerigo non riuscì a trattenere un fischio di ammirazione mentre istintivamente si portava una mano al volto, per riparare gli occhi da quel luccichio così simile ai raggi del sole.
Non aveva mai visto una sirena dal vivo, ma aveva ascoltato attentamente i racconti dei pescatori che si erano imbattuti in una di quelle creature metà uomo metà pesce. Ma nulla di quello che aveva sentito l’aveva preparato a ciò che si trovava sotto i suoi occhi.
A sessant’anni suonati, per la prima volta si sentiva come un bambino di fronte a qualcosa che nessuno gli aveva mai mostrato. Ai suoi piedi, la coda luccicante della sirena si dibatteva freneticamente scivolando sul marmo, quasi fosse dotata di vita propria. Rimase incantato a guardarla. Era verde, un verde intenso e sconosciuto all’universo terrestre, che virava verso l’oro, spandendo intorno a sé stilettate di luce ambrata, fredda come pietra grezza. Il suo sguardo non poté fissarla per più di qualche secondo, gli dolevano gli occhi.
A un suo cenno, uno dei soldati si affrettò a coprire la coda con la iuta.
«I pescatori hanno detto che col passare dei giorni sarà sempre meno luminosa, come un fuoco che smette di ardere» gli spiegò.
Gli occhi di Amerigo tornarono a posarsi sulla sirena, questa volta per ammirare le sue meravigliose forme umane. Il suo sguardo insistente si spostò dal ventre piatto, perfettamente disegnato, ai seni chiari e sodi, fino al collo lungo e sottile, che ricordava quello di un cigno.
Il viso era un ovale perfetto dagli zigomi alti, gli occhi immensi e una bocca di un intenso color carminio che sembrava dipinto, su cui i capelli cascavano come un velo di scintillante seta nera.
Gli occhi bruciavano come carboni ardenti, accusatori. Le rivolse un sorriso sarcastico, mentre si chinava per sfiorarle i seni. Si aspettava una reazione forte. La creatura sussultò leggermente, ma non disse nulla. Solo quando il suo tocco si fece più invadente voltò il capo.
Era fiera come una cavalla di razza, pensò Amerigo, ma non c’era niente e nessuno che lui non riuscisse a piegare alla sua volontà.
«Tua sorella ci ha detto che ti chiami Surya» disse.
Alla parola sorella notò un moto involontario del capo e capì di essere sulla strada giusta.
«Voglio proporti un patto» esordì, conciliante. Un nuovo piano aveva preso forma nella sua mente. «Tua sorella è tanto carina…»
«Lasciala stare!» sibilò la sirena, fissandolo con odio.
Amerigo sorrise tra sé. Sarebbe stato più facile del previsto.
«Dunque sai parlare» commentò, alzando un sopracciglio. «A tua sorella non succederà nulla, a patto che tu faccia qualcosa per me»
«Non farò niente per te, vecchio!» Nella sua voce anche l’odio aveva le frequenze di una musica. Alta, vibrante e cristallina come acqua.
«Come vuoi.» Alzò le spalle con noncuranza. Poi, rivolto a un servo: «Portatela via. E trascinate qui davanti la piccolina!»
«Aspetta!» gridò la sirena.
«Cosa devo aspettare?»
«Lascia andare mia sorella. In cambio farò tutto ciò che chiedi.»
Amerigo sorrise. Ancora una volta era stato tutto fin troppo facile. Per quello che aveva in mente, una sirena soltanto era più che sufficiente… l’altra sarebbe servita a facilitargli il compito.

Rolando si sporse dal finestrino della carrozza per guardare le nubi oscure addensarsi sull’oceano.
Da buon uomo di mare sapeva cosa significasse per le navi una tempesta di quelle dimensioni, eppure in quel momento gli mancava non trovarsi a bordo. La sua vera vita era l’acqua, la vastità dell’oceano che carezzava la terra e si ritraeva al ritmo delle maree, proteggendo la vita dei fondali come farebbe una madre amorosa.
Tirò le tendine e tornò a fissare il sedile vuoto di fronte a sé con aria cupa.
Amerigo non era venuto a prenderlo, troppo occupato con questioni di governo. Non che gli dispiacesse; anzi, quando i soldati incaricati di condurlo a palazzo gli avevano comunicato che l’avrebbe visto soltanto la sera, al ballo organizzato in suo onore, si era quasi sentito sollevato.
Non erano mai andati d’accordo, tra loro c’era troppa differenza d’età e di vedute, ma aveva dovuto abituarsi all’idea che un giorno sarebbero stati costretti a lavorare fianco a fianco.
Avrebbe preferito che suo padre non gli avesse lasciato quell’incombenza. Per come la vedeva lui, era Amerigo quello più adatto a regnare. Lui era fatto di un’altra pasta: amava l’avventura, il pericolo, amava viaggiare e sapere che ogni giorno a bordo poteva essere l’ultimo… Solo così gli sembrava che la vita acquistasse un senso. Ma non poteva sottrarsi ai suoi doveri. Era l’onore a impedirglielo, e lui, prima di ogni altra cosa, era un uomo d’onore. Un figlio leale.
Sfiorò con un dito l’armatura che gli ricopriva il petto, che non toglieva nemmeno di notte.
Gliel’aveva regalata il suo anziano padre quando, poco più che ragazzino, si era imbarcato per la prima volta, ma solo anni dopo aveva compreso fino in fondo il valore di quel dono.
Donandogli quell’armatura leggera e sottile, quasi impalpabile, suo padre aveva voluto proteggerlo. Sottile come la lama di una spada, dura come sfoglia di diamante, l’armatura non solo l’aveva più volte sottratto alla morte, ma dopo vent’anni non riportava neanche la più piccola ammaccatura. Una volta una vecchia maga tailandese si era inchinata al suo cospetto, sussurrando: «Guerriero, che gli Dei ti benedicano! Questa armatura è forgiata con le pietre dello Stige, smaltata d’oro da Ares in persona, dio della guerra!».
Ogni volta che ripensava a quelle parole, Rolando non riusciva a trattenere un moto di commozione nei confronti di quel padre che gli aveva fatto il dono più prezioso del mondo, l’invincibilità: finché avesse indossato l’armatura, Rolando sapeva che niente avrebbe potuto ucciderlo.

Surya guardava le ancelle che si affaccendavano intorno a lei con un misto di terrore e curiosità.
In un certo senso si sentiva attratta da quelle donne bellissime, fasciate di seta, che volteggiavano per la stanza sistemando fiori negli enormi vasi d’argento, accendendo candele e curando ogni dettaglio affinché tutto fosse perfetto per la scena che lei avrebbe dovuto recitare.
Il pensiero le provocò una stretta allo stomaco.
Se la situazione fosse stata diversa, si sarebbe senz’altro goduta quello spettacolo stupefacente.
Nel regno marino non esisteva nulla di neanche vagamente paragonabile al fuoco che scoppiettava nel camino, spandendo intorno a sé una luce ambrata la cui semplice vicinanza infondeva calore e un piacevole senso di abbandono. Pensò alla sua coda, che sotto le coperte diventava sempre più spenta e opaca. Sì, in un’altra occasione si sarebbe decisamente goduta quel soggiorno tra le misteriose creature che abitavano la terra… In fondo non era forse questo che cercavano, lei e sua sorella, quando si erano avvicinate alla riva? Uno sguardo al mondo emerso, alle meraviglie che quelle strane, incomprensibili creature riuscivano a creare.
Scostò le coperte per guardare meglio la coda. Ora la sua luce vibrava verso il bronzo.
Mai, dacché era nata, aveva visto una coda così scura, se non forse nelle sirene ultracentenarie, ormai prossime alla morte. Quella parola le provocò un sussulto. Era questione di pochi giorni e la sua coda sarebbe avvizzita, la luce si sarebbe fatta sempre più oscura, attraversando tutte le gradazioni del verde fino a spegnersi per sempre. Dopo ci sarebbero voluti al massimo un paio di giorni prima che morisse anche la sua metà umana.
Un’ancella si affrettò verso di lei con un’espressione imbronciata sul bel viso rotondo.
Era giovanissima, doveva avere l’età di Ananke. Solo il pensiero che sua sorella presto sarebbe stata salva era in grado di sostenerla, impedendole di cedere al dolore che le squarciava il petto.
«Copriti!» la rimbrottò la ragazzina. «Il padrone potrebbe entrare da un momento all’altro e non deve vedere la coda!»
Surya obbedì senza replicare, tirando su le lenzuola di seta fino a coprire anche il seno.
Aveva notato come la guardavano gli uomini, e quegli sguardi non le piacevano… si sentiva esposta, oggetto di brame incomprensibili che non promettevano nulla di buono.
Ignorando gli sguardi insistenti e curiosi delle donne che le trafficavano intorno, si sistemò meglio sui cuscini di morbida e fresca seta e chiuse gli occhi. Sentì confusamente che qualcuno le spazzolava i capelli e che le mettevano della polvere sul viso, facendola quasi starnutire.
Quando si sarebbero decise a lasciarla in pace? Ripensò alle parole di sua madre, che l’aveva sempre messa in guardia dall’eccessiva curiosità.
«Un giorno potrebbe portarti guai!» le ripeteva da bambina, carezzandole il capo con le dita affusolate. Aveva ragione.
E pensare che le sarebbe bastato aspettare! Mancavano solo pochi giorni al ventiquattro di giugno, la notte di mezza estate in cui a tutte le creature ibride che animavano il mondo – sirene, licantropi, unicorni – era concesso di transitare liberamente da uno stato all’altro.
Quella notte avrebbe potuto assumere le sembianze di una donna e osservare la terra emersa fino al calar del sole, senza aver paura di essere scoperta. Ma aveva avuto fretta, e l’aveva pagata cara.
Non si accorse di essere scivolata nel sonno finché il cigolio della porta che si apriva non la fece sobbalzare. Allora si rese conto che delle ancelle non c’era più traccia: era sola, nella stanza, sola a eccezione dell’uomo che stava entrando in quel momento…

Nell’aprire la porta, Rolando quasi cadde in avanti. Era più leggera di quanto si fosse aspettato, oppure ci aveva messo troppa forza… entrambe ipotesi probabili, visto che quella sera aveva alzato il gomito. Non era da lui bere troppo, soprattutto durante la navigazione, ma, come aveva detto suo fratello, sulla terraferma le regole erano diverse.
Quella era la sua serata, ogni cosa era stata organizzata in suo onore, compresa la prostituta più bella del regno che lo attendeva paziente in una stanza nell’ala Nord del palazzo.
Da sobrio aveva subito scartato quell’idea. Non gli erano mai piaciute le prostitute, l’idea di ricorrere ai loro servigi lo disgustava. Preferiva l’amore semplice e pulito delle serve o delle dame di compagnia, giovani donne che provavano per lui una sincera tenerezza che lo spingeva a proteggerle. E poi, nel profondo del cuore, sapeva di desiderare un amore appassionato come quello dei suoi genitori.
Figlio del re e di una dama di palazzo morta di parto, Rolando aveva evinto l’immenso amore del padre da come questi l’aveva accolto in seno alla propria famiglia, regalandogli lo status di figlio legittimo e il suo regno. Da piccolo gli parlava spesso della madre, e ascoltando le sue parole Rolando si era convinto che l’amore esistesse davvero.
Tuttavia Amerigo si era categoricamente rifiutato di far portare via la ragazza.
Sarebbe stata una vera scortesia, aveva detto, ammiccando tra i fumi del vino. La signora andava soddisfatta, e se proprio lui non era disponibile… beh, poteva almeno andare a congedarla di persona, spedendola nelle camere dell’equipaggio che sicuramente avrebbe apprezzato.
E quindi eccolo lì, sulla soglia della camera occupata da una sconosciuta.
Entrando, la penombra lo avvolse come un caldo mantello di velluto. La vista offuscata gli restituiva moltiplicata la luce tenue delle candele che illuminavano la stanza, conferendo all’ambiente l’atmosfera irreale di un sogno. Le fiamme che ardevano nel camino coloravano di porpora l’aria densa d’incenso, arrossandogli il viso. Il rossore aumentò a dismisura quando mise a fuoco la donna che giaceva sul letto matrimoniale a baldacchino al centro della stanza.
Si avvicinò di qualche passo, desiderando vederla meglio. Il caldo e l’alcol giocavano brutti scherzi… Possibile che al mondo esistesse una fanciulla così bella?
La osservò a lungo, immobile. Tanta bellezza lo intimoriva, sembrandogli quasi sovrannaturale.
Volti così incantevoli li aveva visti solo sui libri di fiabe che la governante gli leggeva da bambino o sulle bambole di porcellana che comprava alle figlie delle sue amanti occasionali.
La pelle di porcellana delineava un ovale perfetto, ombrato da lunghe ciglia scure e acceso dal rosso carminio delle labbra. I capelli neri, lunghissimi, erano sparsi sul cuscino immacolato, le labbra appena schiuse di chi attende qualcosa.
Qualcosa però gli suggeriva che la ragazza non stesse realmente dormendo.
I suoi tratti non avevano l’abbandono tipico del sonno, apparivano tesi, il respiro spezzato di chi attende e ha timore. Si sedette piano sulla sponda del letto, avvicinando impercettibilmente il volto a quello di lei. Quando la fanciulla spalancò gli occhi, per un istante fu come abbagliato dal suo sguardo. Gli occhi neri, impastati di sonno, erano due laghi dalle acque color cannella, profondi e vigili.
La scintilla combattiva che li increspava lo fece sobbalzare.
«Non ti farò del male» si sentì dire.
Lei non aveva detto nulla, ma gli era sembrato che il suo volto esprimesse una muta richiesta di rassicurazione. La ragazza si rilassò impercettibilmente. Senza parlare, si sistemò meglio sul cuscino, facendo scivolare il velo di seta che le copriva il seno. Un capezzolo sgusciò fuori, rotondo e perfetto, di un rosa intenso, e Rolando sentì la saliva andargli di traverso in gola.
La giovane si occorse del suo turbamento, seguì la traiettoria del suo sguardo e poi tornò a fissarlo negli occhi, incuriosita. Non sembrava affatto imbarazzata, come se esporre la sua nudità fosse qualcosa di estremamente naturale. Poi fece un gesto che lui non si sarebbe mai aspettato da una cortigiana: sollevò un braccio candido e con la mano gli sfiorò il volto, carezzando la barba di un paio di giorni.
Quel contatto sprigionò una sorta di elettricità tra loro.
Era un gesto incerto, le dita di lei  tremavano a contatto con la sua pelle.
Senza pensarci su due volte, le afferrò la mano e se la portò al cuore. Gli sembrava di sentirne il tocco anche sotto i vestiti e l’armatura.
«Come ti chiami?» chiese. Anelava a sentirla parlare, non riusciva a immaginare che voce potesse avere una bellezza del genere.
«Surya» rispose lei. Una voce dolce come il mormorio della risacca.
«Surya» ripeté, perdendosi nell’abbagliante candore del suo corpo nudo, desiderando ardentemente scostare le lenzuola per vederla tutta. Denudarle l’ombelico e i fianchi ondulati per poi infilarsi tra le gambe appena schiuse e assaporare fino in fondo l’aroma di donna, il suo particolare profumo. Aveva dimenticato ogni cosa: che lei era una prostituta pagata da suo fratello, che a malapena conosceva il suo nome, che era pericoloso perdersi in quel modo negli occhi di una perfetta sconosciuta… il desiderio di baciarla era così intenso da farlo tremare.
L’attirò dolcemente a sé, cingendole il collo con una mano, e posò le labbra su quelle di lei.

Era l’uomo più bello che avesse mai visto.
Non ne aveva visti molti, in realtà, ma trovava che si somigliassero tutti quanti. Tranne lui.
Lui era grande, alto, leggermente robusto, i capelli biondi e scarmigliati gli sfioravano le spalle larghe. Gli occhi erano bruni, la bocca carnosa: tutto in quell’uomo le suggeriva che era buono, persino il suo profumo, aspro e alcolico, rassicurante. Non sapeva cosa le fosse passato per la testa, non l’aveva preventivato, ma a un certo punto aveva sentito il bisogno quasi fisico di toccarlo. A contatto con pelle ruvida del volto, increspata di barba, il suo cuore si era stretto violentemente.
Una morsa che faceva male, una sensazione mai provata prima di allora.
Desiderio e paura mischiati al punto da trasformarsi in qualcos’altro, un impulso cieco che l’aveva spinta a premere forte le labbra contro quelle dure e screpolate che lui aveva poggiato sulle sue.
Quando sentì che l’uomo forzava per entrare, schiuse le labbra e lo accolse.
Fu come se il mondo esplodesse intorno a loro. Nulla era esistito prima di quel bacio.
Se quello era l’amore, oh, era di gran lunga superiore a ogni sua aspettativa!
Niente di ciò che sapeva in merito l’aveva preparato a quello
La mano maschile scese ad accarezzarle il seno, lasciando una scia bruciante su ogni centimetro di pelle che sfiorava. Nel frattempo l’uomo continuava a baciarla, carezzandole il viso con l’altra mano, avvicinandosi sempre più. Ancora qualche centimetro e le sarebbe stato addosso.
Fu allora che rinsavì, come se qualcuno all’improvviso le avesse urlato di muoversi.
Lei non era lì per quello. Lei non era lì per lui, né per se stessa: era per sua sorella che aveva accettato, era per lei doveva portare a termine quella missione. Si staccò bruscamente, scostando la mano che le accarezzava il seno. L’uomo spalancò gli occhi, sorpreso.
Non avrebbe voluto guardarlo, non mentre faceva quello che stava per fare.
«Cosa…» mormorò lui, sorpreso.
Sentiva la bocca incredibilmente secca, parlare le costava fatica.
«È che… voglio sentirti» balbettò, cercando di evitare il suo sguardo. «Voglio abbracciarti»
Lui capì subito e obbedì con un sorriso. Non si era mai sentita così male, così infelice come mentre lo guardava togliersi l’armatura lucente per rimanere a torso nudo.
Allora iniziò a cantare. Era il segnale concordato.
L’espressione dell’uomo tornò a farsi sorpresa, per poi diventare furibonda quando le guardie reali irruppero nella stanza, avventandosi su di lui. Si ritrasse, spaventata, mentre Rolando lottava come una furia, la corazza d’oro che scintillava sul pavimento, ormai inutile.
Mentre lo portavano via, le lanciò uno sguardo rabbioso che subito si tramutò in stupore.
Nel trambusto, le lenzuola le erano scivolate di dosso, scoprendo la coda.
«L’ho fatto per mia sorella! Perdonami, se puoi!» urlò Surya, prima di scoppiare a piangere disperatamente.

Erano passati due giorni dacché Rolando era stato rinchiuso nelle segrete del castello.
L’avrebbe tenuto in vita il tempo necessario a carpirgli i segreti di guerra, poi sarebbe morto.
Era il ventiquattro di giugno, la notte in cui alle creature ibride era concesso mutar forma.
Nella stessa notte, agli umani era concesso di accedere a un potere infinito ed eterno, un potere che andava ben oltre le umane possibilità.
Messo fuori gioco Rolando, Amerigo era diventato il signore incontrastato della terra. Il suo regno si estendeva in ogni direzione e ogni anno inglobava nuove terre, nuove genti. Ma non gli bastava.
Lui bramava a essere anche il signore del cielo e del mare, e per far questo era necessario un duplice sacrificio: un’aquila, signora del cielo, e una sirena, dea del mare, da immolare all’altare del monte Kinabalu, sospeso tra cielo e terra, a picco sul mare.
Una superba aquila reale era già stata trasporta sul posto, mancava solo la sirena, e tra poche ore avrebbe avuto luogo il sacrificio che avrebbe messo il mondo ai suoi piedi.
Sorrise tra sé quando bussarono alla porta, ma il sorriso gli morì in gola vedendo l’espressione terrorizzata del giovane paggio.
«Dov’è lei?» chiese, brusco.
«Non è più nella sua stanza, sire… Qualcuno l’ha aiutata a fuggire!»

Di tanto in tanto la luna faceva capolino tra le nubi, quasi volesse indicar loro il sentiero più breve per raggiungere l’oceano. Poi tornava a nascondersi, lasciando che le ombre violacee della notte inghiottissero la terra. In sella a un cavallo rubato, Rolando procedeva a passo d’uomo.
Era consapevole del pericolo cui li esponeva quell’andatura troppo lenta, ma non voleva correre il rischio di svegliarla. Era così bella, accarezzata solo dalla luce flebile e bronzea della coda.
Ormai aveva smesso quasi completamente di brillare. Sapeva cosa voleva dire, Surya glielo aveva spiegato quando era corso a liberarla, forte di un’armatura che aveva perso solo per poche ore.
Quello stolto di suo fratello non sapeva che allo scoccare delle ventiquattro ore, l’armatura sarebbe tornata al suo legittimo proprietario.
Quando l’aveva riavuta con sé, nulla più era stato in grado di fermarlo.“La corazza è solo un oggetto” gli aveva detto il padre, prima di morire. “La sua vera forza è dentro di te… Se desideri ardentemente qualcosa, prima che cali il sole tornerà a esser tua, e ti aiuterà.”
Lui desiderava liberare la donna che aveva aiutato suo fratello a distruggerlo.
Era chiusa poche celle più in là, l’aveva riconosciuta dal canto straziante. Grande era stata la meraviglia quando aveva scoperto la sua vera natura: come molti uomini di mare, sapeva dell’esistenza delle sirene, ma non ne aveva mai vista una. L’aveva liberata perché non ce l’aveva con lei. La sua prigionia dimostrava che non aveva avuto scelta, e lui non poteva dimenticare il bacio che si erano scambiati, le labbra che gli trasmettevano un calore in grado di farlo fremere da capo a piedi.
Erano in viaggio da ore. Quando, in lontananza, udì il rumore delle onde che s’infrangevano a riva, istintivamente chinò gli occhi sulla sirena che teneva tra le braccia.
Fu sorpreso nell’incrociare il suo sguardo brillante, acceso di speranza.
«Acqua…» mormorò Surya. Ne sentiva il richiamo, così forte che le membra le dolevano.
Riusciva solo ad abbandonarsi tra le braccia di quell’uomo. Irrazionalmente, stupidamente, si fidava di lui. Avrebbe scelto di fidarsi di lui anche se avesse avuto un’altra scelta.
«Ci siamo» disse Rolando. La sua voce vibrava di sollievo.
Allora Surya alzò gli occhi e vide l’oceano. Liscio come velluto, infinito, si stagliava fiero contro un cielo di stelle che si specchiavano in lui. Lacrime inconsapevoli le rigarono le guance.
L’oceano… la sua casa, la vita! Senza parlare, Rolando scese da cavallo, la prese in braccio e camminò fino a che l’acqua non gli arrivò alla vita, immergendo la coda di Surya centimetro dopo centimetro.
La sentì fremere e artigliarli la pelle nuda delle braccia con le dita sottili.
«Fa male?» chiese, incerto.
Il volto di Surya si aprì in un sorriso dolcissimo in grado di spezzargli il cuore.
Illuminato da quegli occhi di carbone, si sentiva fragile e inerme come un bambino.
«Brucia un po’… ma solo all’inizio.»
Allora avvenne il miracolo. La coda iniziò a pulsare di luce propria, un intenso bagliore d’oro e ambra che spandeva attorno a sé un arcobaleno di scintille colorate. Le sue braccia si aprirono per lasciar andare la sirena. La coda si dibatteva con furia e grazia, disegnando cerchi e figure che lasciavano nell’acqua un’impronta profonda, come se l’oceano fosse restio a cancellare il saluto della figlia ritrovata. Accompagnata da centinaia di stelle fiammanti, Surya nuotò lontano da lui, mentre all’orizzonte il cielo veniva squarciato da un’esplosione di fuoco e luce che offuscò anche la luna. All’improvviso ebbe paura. E se l’avesse persa per sempre?
Poi ci fu un attimo di buio assoluto: né scintille, né stelle, né luna ornarono più con il loro riflesso la superficie nera dell’oceano. Era mezzanotte in punto.
L’acqua davanti a lui si increspò, sollevandosi, e Rolando balzò indietro, spaventato.
Lentamente, centimetro dopo centimetro, il corpo di Surya emerse dal mare.
Nel buio sempre meno denso distinse chiaramente le forme dei suoi seni, i fianchi pieni e ondulati, e poi… Si avvicinò per vedere meglio, incredulo. Gli occhi gli stavano giocando un brutto scherzo, non c’era altra spiegazione! Il timido sorriso della donna che amava brillò nell’oscurità, mentre lei si portava una mano al bassoventre. In quel momento il mare si ritirò scoprendo due gambe esili e incerte, che tremavano leggermente.
«Ma tu… tu sei…» balbettò.
«Solo per stanotte» rispose lei, traballando e finendogli addosso.
«Non so come reggermi in piedi» si scusò, alzando lo sguardo.
Ma lui non capiva già più niente. Mentre il corpo nudo di Surya premeva contro il suo, il desiderio lo invase, prepotente. Voleva quella donna e la voleva lì, in un momento che non sarebbe tornato.
Si chinò per baciarla a lungo mentre con una mano frugava dolcemente il miracolo tra le sue gambe, caldo, umido e profondo. Surya rispose al bacio con passione, staccandosi dalle sue labbra solo il tempo di un “ti amo” sussurrato a pelle, pieno di calore, odoroso di mare e primavera.
L’uomo rispose cingendosi i fianchi con le gambe sottili di lei e penetrandola senza fretta, con forza, sentendola gemere nella sua bocca. Non si chiedeva cosa ne sarebbe stato di loro al sorgere del sole, quando l’incantesimo si sarebbe spezzato.
Sapeva solo che lì, tra il canto delle onde e il respiro del vento, un uomo e una donna si stavano donando tutto se stessi, come se passato e il futuro non esistessero, come se la loro esistenza finisse nell’oceano, in una notte di mezza estate…

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